Così infatti Dio amò il mondo che diede il suo Figlio, l’ Unigenito, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Perché Dio non mandò il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non viene giudicato; ma chi non crede è già stato giudicato, poiché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. Ora, il giudizio è questo, che la luce è venuta nel mondo e gli uomini amarono più la tenebra che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti compie cose cattive, odia la luce e non viene alla luce, perché non siano riprovate le sue opere; ma chi fa la verità viene alla luce, perché siano manifestate le sue opere, poiché sono state fatte in Dio. (Gv 3 16-21)
Continua il discorso con Nicodemo, ma ormai è monologo. Staccarsi dai soliti predicozzi non è facile. Non so quante volte ho letto questo racconto della comunità di Giovanni e a seguito il sermone che assomiglia a tanti altri già sentiti e io ho paura di finire nella stessa trappola. Partiamo da questa domanda: Dio chi ha mandato alla fine della fiera? Se la risposta è: il figlio di Dio, sono già su una strada che mi permette di usare la ragione. Il fatto è che anche io sono figlio di Dio, quindi condivido qualcosa con questo Ragazzo di Nazareth. È l’unica? No! Io sono un uomo, e Gesù era un uomo, quindi la mia personale risposta alla domanda è: Gesù è uno che ci assomiglia. Se non parto da questa considerazione, tutto il resto del racconto mi porta a inghiottire la solita zuppa incomprensibile. Parole dette a memoria, come una poesia che non si comprende ma si dice ugualmente, e io ho sempre avuto una certa repulsione ad imparare filastrocche a memoria. Molto meglio tentare di capirle piuttosto che ripetere parole vuote. Altro dato non trascurabile è l’utilizzo delle parole da parte della comunità di Giovanni in questo brano. Molte traduzioni utilizzano la parola condanna: “Chi crede in lui non viene condannato; ma chi non crede è già stato condannato,..” (Gv 3,18), mentre la traduzione letterale dal greco antico suonerebbe più o meno in questo modo: ”Chi crede in lui non viene giudicato; ma chi non crede è già stato giudicato,…”. In tutto il dialogo con Nicodemo, non appare una sola volta la parola condanna, bensì giudizio. La condanna è una punizione preceduta da una sentenza ufficiale, il giudizio no. Quante volte sono stato giudicato a parole da qualcuno per una mia azione. Mi ha provocato fastidio, dolore, ripensamento, tristezza e forse mi ha aiutato a capire, ma non ho ricevuto sentenze e condanne. Ora, se Dio ha mandato un uomo, forse è per far si che l’uomo riacquisti fiducia in se stesso e si piaccia un po’ di più. Autostima! Non l’ha mandato come giudizio ambulante. Millenni di storia hanno incrostato l’uomo di brutture e coperto il bello di cui è portatore. L’uomo ha perso fiducia in sé stesso, nella capacità di fare del bene a sé e agli altri, nella possibilità di contribuire a fare di questa terra un pezzo di paradiso. Dio ama talmente tanto gli esseri umani da scommettere ancora su di loro, e cosa fa? Manda semplicemente un uomo, un normale cittadino e non un soldato, un artigiano e non un re. Questo per dire: siete belli e siete voi che potete rimettere in piedi tutta la baracca! Io mando un uomo affinché voi posiate credere ancora nell’uomo, nelle sue potenzialità, nella sua creatività e fantasia, e nella sua capacità di amare. Non lo mando come un giudizio pendente sopra la vostra testa o come minaccia di castigo. Non lo mando per abbassare la vostra autostima, per mostrare quanto lui e bravo e voi no. Non lo mando per accrescere in voi un senso distruttivo di inferiorità. Lo mando perché voi possiate riprendere fiducia in voi stessi, perché possiate vedere quanto è bello l’essere umano. Ve lo mando come augurio e non come condanna. Se credi nell’essere umano nonostante tutto, non sentirai nessun senso di colpa. Se non ci credi, se non credi nella bellezza che tu puoi dare e condividere, questa è già una sorta di auto-condanna a vivere a metà, ma è una condanna clandestina, non prevista del Dio di Nazareth che non è venuto per giudicare né tantomeno a condannare. Credi nell’unico figlio di Dio, che è l’intero genere umano! Se non ci credi obblighi te stesso a vivere una vita senza speranza. La comunità di Giovanni, nella traduzione letterale di questo brano, non usa termini quali, bene e male, bensì cose cattive e verità. Il dualismo “bene e il male” è impastato nell’uomo e nella donna o meglio, cose cattive e verità abitano l’essere umano in modo inestirpabile. In un certo senso è una trinità; verità, cose cattive e essere umano. Verrebbe bene anche un segno della croce del genere: “nel nome della verità, delle cose cattive e dell’essere umano, amen”. Anche l’ordine non è casuale. Precedenza alla verità di ciò che si è, che si confronta con le cose cattive abbiamo la possibilità di fare, e l’ultima scelta libera resta nelle mani dell’essere umano. Sta a lui scegliere. Ora il giudizio è questo; quello di aver scelto male. Un giudizio che, come si vede nel brano di Giovanni, è senza condanna.