È una Pasqua vista da fuori, senza celebrazioni in chiesa o preparazioni speciali.
Oggi è la domenica delle palme di una settimana solcata dalla quotidianità della vita in periferia, quella poco abituata a stare al centro.
Mi ricordo quando preparavo queste settimane con la concentrazione di chi deve fare un salto per batterne un altro.
Sembra quasi una Pasqua rinunciata, vissuta “meno”, ma in realtà è la Pasqua dei molti. È la festa che arriva senza far troppo chiasso, quella che ha un sapore diverso, meno di cioccolato e più di pane. È la Pasqua dei tanti, e io mi ci metto in fila, per scoprirne l’effetto carico di senso intrinseco da sfiorare. L’aspetto non religioso di un giorno lontano che si coglie nella frenesia d’inseguire qualcos’altro, la propria ordinarietà, la quotidianità fatta di preoccupazioni e di un “anche oggi è fatta”.
È la Pasqua della preghiera quando fuori è buio e il rumore si spegne con il sole. È quella del dialogo nella stanza del segreto. È necessità di pensare cosa sia davvero “ritornare in vita”. Sono pensieri talmente lontani dalla teoria, dalla dottrina e dalla logica, che hanno bisogno di riservatezza per non arrossire. È un affare intimo tra la coscienza e la mente.
Sono lontane le preghiere popolari, le processioni di voci che s’infilano nelle pieghe del tempo che screpola i muri. È una Quaresima senza stazioni, qui il bus non si ferma e l’Artigiano di Nazareth non cade tre volte, perché ci pensa già la gente a farlo, tre, quattro, cinque, cento volte. Qui non ci sono strade asfaltate e tutte le vie sono quelle della croce. È la gente a portarne il peso. Una croce creata da quella mano, non più invisibile, che decide ricchezza e povertà. Le stazioni non sono appese ai muri, ma inchiodate nei giorni di Mercy, Isach, Nelia e Chikondiwe. È la loro schiena a bruciare, la loro fronte a sudare, la loro faccia a essere derisa e la loro gola a bere aceto. È sulle loro famiglie che si tirano i dadi, sono i loro respiri a essere spartiti e i loro sogni ad essere stracciati. È la loro bocca a smorzare tra i denti l’ennesimo “perché mi hai abbandonato?!”. Sono i loro soffi a essere esalati dal basso della terra, l’unico momento della vita in cui la croce si sposta dalle loro spalle per passare in eredità ai discendenti, come un testimone di una staffetta che nessuno vuole correre.
Sono loro a riempire tombe nuove, con pietre che, dopo tre giorni rimangono dove sono, senza rotolare via come duemila anni fa. Dov’è la resurrezione? Ci sono persone che non vivono nemmeno nella memoria, se ne vanno e basta. Scompaiono per sempre e nessuno le ricorda.
Ci sono persone in fila per cambiare la loro vita con qualcosa di diverso,
quella di prima, non l’hanno potuta godere.
Scritture antiche parlano di una resurrezione dai morti, di una “vita nuova”.
Dove e come? Ecco la domanda da cercare come moneta dimenticata in fondo alle tasche di vecchi jeans. Dopo averla trovata, bisogna decidere che cosa farne.
È la Pasqua della gente comune, quella che nonostante tutto, nel loro impegno a campare, nel silenzio del segreto, ci crede ancora a una vita che non si ferma con la morte… e questo è già un miracolo.
Buona Pasqua da Bauleni